Paul Veyne: l’originalità del cristianesimo

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Paul Veyne, archeologo e storico francese, marxista, considerato tra i massimi esperti di Roma antica, è autore di Quando l’Europa è diventata cristiana (Garzanti, 2008).

Si è chiesto, da storico del mondo antico, cosa abbia reso il cristianesimo così capace di diffondersi, nonostante le persecuzioni. Ed ha concluso che la cifra del cristianesimo è stata “l’originalità geniale“.

Per lui il cristianesimo  è “un capolavoro originale”, che offre “qualcosa di diverso e nuovo”: “Quando un cristiano si chiudeva in raccoglimento davanti al suo Dio, sapeva che egli non aveva mai smesso di guardarlo e di amarlo. Gli dei pagani, invece, vivevano innanzitutto per se stessi. L’Uomo-Dio, Cristo, in compenso, si era sacrificato per gli uomini”.

E ancora: La vita di chi riceveva la fede diventava più intensa, organizzata, e sottoposta a vincoli molto più forti. L’individuo doveva conformarsi a una regola che lo stilizzava, come accadeva nelle sette filosofiche dell’epoca, ma in cambio la sua esistenza improvvisamente acquisiva all’interno di un piano cosmico un significato eterno, che non gli potevano conferire né le filosofie né il paganesimo. Quest’ultimo lasciava la vita umana così com’era, effimera e fatta di piccole cose. Grazie al Dio cristiano, la vita riceveva l’unità di un campo magnetico in cui ogni azione, ogni movimento interno assumevano un significato, giusto o sbagliato; tale significato, che non era l’uomo a darsi, a differenza dei filosofi, l’orientava verso un essere assoluto ed eterno che non era solo un principio, ma un vero e proprio vivente… Amplificando la religione ebraica e i Salmi, il cristianesimo ha come fondamento un legame reciproco tra la divinità e l’umanità o, più esattamente, ogni uomo. Vorrei far comprendere quale abisso lo separi dal paganesimo e il lettore mi perdoni se porto un esempio banale, subalterno, non degno di un argomento così nobile: una donna qualunque può andare a raccontare le sue sventure familiari o coniugali alla Vergine; se le avesse raccontate a Era o Afrodite, la dea si sarebbe chiesta quale capriccio mai fosse passato per la mente di questa petulante, che si presentava a raccontarle cose di cui ella poteva benissimo fare a meno“.

Il rapporto dei pagani con le loro divinità– continua Veyne- e quello dei cristiani con Dio non erano paragonabili: un pagano si considerava contento dei propri dèi se era riuscito a ottenerne l’aiuto con preghiere e voti, mentre un cristiano agiva in modo tale che fosse Dio a dimostrarsi contento di lui”. Infine, confrontando il cristianesimo con le altre “religioni di salvezza” dell’Oriente, Veyne esclude che il fascino di una fede sia determinato solo dalla paura della morte: “Le conversioni non erano dovute a una speranza nell’aldilà, ma a qualcosa di molto più grande: alla scoperta da parte del neofita di un grande progetto divino, che aveva l’uomo come destinatario”; alla “differenza e originalità” del cristianesimo che riesce ad imporsi anche “per il suo spiccato senso della fratellanza, dell’amore verso il prossimo a imitazione dell’amore che Dio nutre per gli uomini”; e infine alle sue “opere di carità, diverse dal mecenatismo degli evergeti, i ricchi pagani che offrivano edifici e spettacoli”1 .

1 P. Veyne, Quando l’Europa diventò cristiana, Garzanti, 2008, p. 29 e seg., 38-40.

Di seguito due pagine dal libro:

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