Il paganesimo: 1) i giochi gladiatorii (riti funebri, divertimento e sacrifici umani)

gladiatori

Un altro tipo di schiavitù, un altro tipo di sacrificio umano, un’altra cerimonia “magica” che scompare con l’avvento del Cristianesimo è quello dei giochi gladiatori.

E’ l’imperatore Costantino, il figlio di Santa Elena, ancora lui, a vietare per primo, nel 325, pur senza ottenerne subito una totale ed effettiva scomparsa, i giochi cruenti che negli anfiteatri causavano la morte di migliaia di persone, uccise nelle rappresentazioni, nelle condanne e nelle finte battaglie navali o terrestri che si svolgevano negli anfiteatri di tutta la latinità.

Come racconta lo storico pagano Tacito, nei circhi la gente veniva condannata ad bestias (vedi sotto), ad essere sbranata dalle belve, dai leopardi, dagli orsi, dai cinghiali, oppure, all’epoca di Nerone, specie i cristiani, venivano cosparsi di pece e bruciati vivi. La schiava cristiana Blandina e il piccolo Pontico vengono fatti assalire da un toro inferocito, che lancia più volte in aria la donna, avvolta in una rete.

ad bestias

Perpetua e Felicita vengono condotte nell’arena nude e avvolte in reti, massacrate e poi passate a fil di spada.

Il cristiano Revocato viene sbranato da un leopardo e Saturnino da un orso. Ma anche i gladiatori, chiamati alla dimostrazione della loro forza, solitamente schiavi, prigionieri di guerra, criminali, talora uomini liberi e donne, muoiono in gran numero negli anfiteatri, in mezzo al tripudio di migliaia di spettatori che godono del sangue.

Sino a Costantino i gladiatori possono subire l’atroce morte prevista dall’auctoratus, e cioè dal contratto per cui il gladiatore poteva essere bruciato, legato e ucciso col ferro (uri, vinciri, ferroque necari). Anfiteatri per i giochi vi sono in tutto l’impero, “costituendo il più poderoso strumento comunicativo della Roma imperiale e più generalmente di tutta l’età antica”. Essi “costituiscono l’occasione per la comunicazione tra imperatore e popolo, o comunque tra esponenti del potere imperiale, potentati locali e popolo1.

Uomini ricchi e potenti, sacerdoti pagani e politici, spendono fortune non per aiutare i poveri e la plebe, ma per ingraziarsela organizzando spettacoli di ogni tipo, in cui il sangue scorra il più abbondante possibile. Teatri, anfiteatri, stadi, “sono presenti praticamente in ogni città dell’impero, ma anche in zone rurali”2.

L’antica Lione, Lugdunum, ha un anfiteatro, nel II secolo, che può ospitare circa 27.000 spettatori. Nell’anfiteatro di Cartagine, possono trovare posto tra le 30.000 e le 50.000 persone; nell’anfiteatro di Pergamo, in cui si consuma il martirio di Carpo e dei suoi compagni, vi stanno circa 25.000 spettatori… Sempre, che siano gli spettacoli del mattino e del pomeriggio, venationes e munera, o che siano le esecuzioni di condannati del mezzogiorno, una calca di persone osserva e gode l’assurdo spettacolo, la cui lontana origine è sacra, essendo i giochi gladiatorii collegati con i riti funebri.

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Critiche cristiane ai giochi

Ai giochi- che possono durare anche un centinaio di giorni, con la conseguente morte di circa diecimila gladiatori, come avviene per celebrare la vittoria di Traiano sui Daci-, si oppongono alcuni romani, come Seneca, mentre Cicerone li disprezza ma ritiene che si possa ricorrere ad essi per motivi demagogici. I primi cristiani invece condannano compatti la barbarie dei circhi, e affermano, con Atenagora : “Noi, stimando che lo stare a vedere l’uccisione di un uomo è quasi lo stesso che ucciderlo, abbiamo rinunciato agli spettacoli (dei gladiatori e delle lotte con le belve)”3.

Analogamente per Minucio Felice i giochi sonoscuola di omicidio”; Agostino, che da studente ha assistito ad una battaglia di orsi pagata dal ricco Romagnano, deplora l’insana follia che spinge le persone alla passione per queste atrocità, e deride i potenti che vogliono acquistare fama e onori organizzando i giochi. Addirittura si ricorda il caso di Almachio, un cristiano che si getta in mezzo ad uno spettacolo di gladiatori, per far cessare quel combattimento mortale, e viene linciato dalla folla inferocita.

Tertulliano dedica molte pagine agli spettacoli pagani in generale, e ci descrive “la castrazione di un condannato che è costretto ad impersonare Attis nella sceneggiatura del famoso mito; riferisce di un condannato bruciato vivo come Ercole, il personaggio che gli era stato assegnato di rappresentare; di uno vestito da Plutone che a colpi di martello manda giù negli inferi i combattenti morti o di un altro che nel ruolo di Mercurio si accerta che i condannati siano davvero morti applicando sui loro corpi un ferro incandescente4.

Nel De spectaculis, al capitolo XII, 2 e seguenti, parlando dell’origine dei giochi gladiatorii , scrive: “una volta, quando si credeva davvero che le anime dei defunti potessero venir propiziate col sangue umano, s’acquistavano schiavi di indole cattiva e perversa o si prendevano prigionieri, che venivano senz’altro sacrificati nelle pubbliche esequie. Dopo, sembrò opportuno di nascondere quella crudeltà infame sotto l’ombra del piacere, della soddisfazione: così, quelli che avevano predestinato alla morte, li istruivano a combattere con quelle armi, in cui potevano e come era possibile: bastava che imparassero in qualche modo ad ammazzarsi: poi, stabilito il giorno dei funerali li esponevano a combattere intorno alle tombe: in tal modo, commettendo, o favorendo omicidi, trovavano conforto alla morte: questa è l’origine di questa specie di spettacoli che giunsero a tal punto di favore e di simpatia, quanto aumentarono di crudeltà e di ferocia. Dal momento che il ferro non bastava, perché il pubblico saziasse il suo insano desiderio di strage, s’arrivò a far sbranare dalle fiere i miseri corpi degli uomini; e tutto ciò veniva offerto ai morti; era una specie d’onore che si dava loro nelle esequie...”.

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Sacrifici umani sulle tombe

Qualcosa di simile ai giochi gladiatorii romani, nati dunque per essere offerta ai Mani di un morto illustre, per “offrire sangue umano alla sete insaziabile dei morti5, avveniva anche tra i Celti, prima della conversione al cristianesimo: offrivano sacrifici e giochi presso i tumuli funebri, e non di rado sacrificavano sulle tombe “mogli, figli o schiavi”, oltre che animali6. Così anche i russi, ancora pagani in pieno medioevo, praticavano “una complessa cerimonia con giochi guerrieri e un festino, detto trizna”.

Sarà la principessa S. Olga, alla sua morte nel 969, la prima a rifiutare la trizna e a chiedere di essere sepolta senza tumulo, poiché cristiana7.

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Una forma di giochi gladiatori con finalità rituali esisteva anche presso i mexica o aztechi, in occasione delle cerimonie per il dio Xipe Totec: i prigionieri di guerra venivano legati con una corda a un grande blocco di pietra, venivano riforniti di uno scudo e una clava di legno, mentre “i gladiatori che dovevano divenire suoi avversari venivano fuori uno per uno….Ognuno doveva attaccare a turno il prigioniero; come è naturale questi soccombeva di solito al primo gladiatore e veniva subito sacrificato…Nel caso straordinariamente raro che il prigioniero uscisse vittorioso dalla lotta con tutti e quattro i gladiatori, veniva mandato contro di lui un quinto guerriero, mancino, che lo feriva nel braccio che impugnava la clava. Dopo il sacrificio gladiatorio i sacerdoti scorticavano le vittime, e per i successivi venti giorni indossavano le loro pelli…” .8 Saranno gli spagnoli, inorriditi, a vietare anche questa pratica sanguinaria.

In verità in moltissime civiltà antiche, laddove non si trovino giochi sanguinari in onore dei morti illustri, si trovano però sacrifici sulle loro tombe, sin dalla preistoria.

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Nell’antica Cina, per esempio, “nel 678 (a.C.) al funerale del conte WU di Ts’in ci furono settanta vittime umane. A quelli del conte Mu (nel 621) ce ne furono centosettantasette…”9. Le vittime servivano a propiziare il viaggio del morto, oppure proprio ad accompagnarlo nell’aldilà, per non lasciarlo solo .

Nel 1927 sir Leonard Woolley trovò in una tomba reale di Ur “80 corpi del seguito- servi, soldati, musici, cortigiani, cocchi trainati da cavalli o buoi e completi di cocchieri e staffieri- tutti apparentemente morti avvelenati…La scoperta di Woolley è una conferma delle ultime parole dell’Epopea di Gilgamesh. Nel descrivere la morte dell’eroe, il poema elenca vari doni che Gilgamesh offre agli dei per lui e per coloro che ‘giacciono con lui’. Nell’elenco compaiono ‘moglie, figlio, concubina, musico, comico, valletto principale e inservienti della famiglia’ ”.

Anche le piramidi delle civiltà azteche e maya non erano solamente dei templi ma anche tombe. Nel 1951 “nella piramide di Palenque venne trovata una scala nascosta che portava ad una cripta contenente un enorme sarcofago in cui giaceva il corpo di un uomo con indosso una maschera di giada e degli ornamenti. E, come nelle tombe sumere, furono scoperti gli scheletri di sei uomini mandati con lui a intraprendere l’ultimo viaggio”. Analogamente anche “le tombe della I dinastia egiziana contengono molti ‘funzionari, sacerdoti, servitori e donne della famiglia reale…sacrificati per servire il loro re nella vita dell’aldilà’ e i cui corpi mostrano segni di strangolamento10.

1 Anna Carfora, I cristiani al leone. I martiri cristiani nel contesto dei giochi gladiatorii, Il pozzo di Giacobbe, Trapani 2009, p. 41.

2 Anna Carfora, op. cit., p. 42.

3 Atenagora, Supplica, XXXIV.

4 Anna Carfora, op. cit., p.69.

5 Puech, op. cit., vol. I,2, p. 565-566.

6 J.A. Mac Culloch, La religione degli antichi Celti, Neri-Pozza, p. 327-330.

7 Storia delle religioni, diretta da Maurice Brillant e René Aigrain, Vol. III, p. 20,E.P.SaIe, Torino, 1970.

8 Nigel Davies, Gli Aztechi, op. cit., p. 122.

9 Storia delle religioni, op. cit., vol I, p. 353.

10 Rodney Stark, La scoperta di Dio, op. cit., p. 127.