[…] Quella di Einstein sul ruolo della Chiesa cattolica nella difesa degli ebrei dal nazismo è una dichiarazione che può essere interessante accostare alle convinzioni di un altro famoso ebreo del tempo: Sigmund Freud (1856-1939).
Anzitutto il padre della psicoanalisi – ostile sia alla religione ebraica dei padri, sia, ancor più, al cristianesimo e alla Chiesa cattolica-, ritiene anch’egli come Einstein che l’odio contro gli ebrei sia rivolto anche contro i cristiani, essendo il Vangelo, in fondo, una storia di ebrei. In secondo luogo afferma che i tedeschi sono un popolo che non si è mai davvero convertito, ma ha conservato in sé i germi dell’antica religione pagana (sostanziata di dei feroci e bellicosi, di valori guerreschi all’opposto di quelli evangelici del perdono, del sacrificio, dell’amore).
Scrive Freud: “non dimentichiamoci che tutti questi popoli che oggi hanno il primato dell’odio verso gli ebrei sono diventati cristiani solo in epoca tarda, spesso spinti da sanguinosa coercizione. Si potrebbe dire che sono stati ‘battezzati male’ e che, sotto una verniciatura di cristianesimo, sono rimasti quello che erano i loro antenati, che professavano un barbaro politeismo. Non hanno superato il rancore contro la nuova religione che è stata loro imposta e l’hanno spostato sul fronte donde il cristianesimo è pervenuto”1.
E ancora: “Il loro odio per gli Ebrei è al fondo odio per i cristiani, e non vi è di che meravigliarsi se nella rivoluzione nazional-socialista tedesca questa intima relazione tra le due religioni monoteistiche trova così chiara espressione nel trattamento ostile riservato ad entrambe”2.
Negli anni Trenta, Freud – che in più occasioni ha bollato la Chiesa cattolica come “implacabile nemica della libertà di pensiero”, perché respinge la psicoanalisi come contraria alla visione evangelica-, in più circostanze afferma di vedere in essa l’unico baluardo, nella sua Austria, contro l’avanzata nazista.
L’11 marzo 1934 infatti scrive al figlio Ernst, fuggito da Berlino in Gran Bretagna: “I progressi della reazione cattolica sono incredibilmente rapidi e ampi. Ma tuttavia in essi sta una garanzia che la barbarie hitleriana, davanti alla quale saremmo costretti a fuggire, non travalichi oltre i confini: la chiesa cattolica come nostra protettrice!…”. Anche il 6 gennaio 1935, in una lettera ad una allieva tedesca, esprime la speranza che “il cattolicesimo ci protegga dal nazismo”3.
Il suo giudizio coincide dunque con quello, dato per la Germania, da Albert Einstein, benché i due personaggi siano caratterialmente e idealmente molto diversi, e non si stimino particolarmente: Freud, dopo alcuni colloqui amichevoli, diverrà presto invidioso per il successo del grande fisico, premiato con il Nobel, mentre d’altro canto Einstein non riconoscerà alla psicoanalisi dignità scientifica4.
Tornando all’Austria, essa vive, all’inizio degli anni Trenta, una notevole resistenza anti-nazista: il vento della Germania soffia fortemente sul piccolo stato austriaco, ma qui la presenza cattolica è più forte che in Germania e l’opposizione da parte del partito cristiano sociale è coriacea.
Il cancelliere cattolico Engelbert Dollfuss (1892-1934, nella foto), trovatosi alla testa del paese a soli 39 anni, nel 1932, il 9 giugno 1933 mette al bando il partito nazista e scioglie le sue formazioni paramilitari. La Germania risponde danneggiando l’industria turistica dell’Austria, basata sullo sci e l’escursionismo. A Roma il suo impegno viene lodato, e il mensile dei Gesuiti, la Civiltà cattolica, esalta un leader che sta tenendo il paese all’ombra della croce di Cristo, invece che sotto la croce pagana dei nazisti.
Ma la lotta è dura: il 25 luglio 1934 Dollfuss viene ucciso da un colpo alla testa sparato da un gruppo di congiurati nazisti entrati nel suo palazzo. Muore dissanguato, chiedendo, invano, un sacerdote.
Il quotidiano della Santa Sede dichiara che il nazionalsocialismo altro non è che “nazional-terrorismo”. Il successore di Dollfuss, anch’egli fieramente avverso sia al comunismo che al nazismo, anch’egli proveniente dal partito cristiano sociale d’Austria e appoggiato dai cattolici, Kurt Alois von Schuschnigg (1897-1977), sarà costretto da Hitler alle dimissioni, poi imprigionato dai nazisti nella sua casa per diciassette mesi, tormentato dalla SS, e infine spedito nel campo di concentramento di Dachau prima e in quello di Sachsenhausen poi.
Freud confida dunque prima in Dollfuss, poi in Schuschnigg (che si fa affiancare, tra gli altri, da un avvocato ebreo, Robert Hecht), e nella Chiesa che li sostiene. Il 22 febbraio 1938 scrive: “se alla fine sarà veramente come in Germania se ne può ancora dubitare. La chiesa cattolica è molto forte e farà forte resistenza. Il nostro Schuschnigg è una persona per bene, coraggioso e di carattere. Il giorno dopo il suo ritorno (da un viaggio in Germania, ndr) ha invitato tre rappresentanti dell’industria ebraica per rassicurarli che gli ebrei qui non hanno nulla da temere. Naturalmente fino a quando c’è lui…”5. E ancora: è stata la Chiesa cattolica a “erigere una possente difesa contro la diffusione di questo pericolo per la civiltà”6.
Freud però sa bene, e lo scrive, che “una forte pressione della Germania” potrebbe risultare letale, per il piccolo e debole paese alpino, ridotto all’impotenza all’indomani della I Guerra Mondiale dalle potenza decise a distruggere ciò che rimane del Sacro Romano Impero medievale.
Tanto più se, come in effetti accadrà presto, con l’alleanza tra Mussolini ed Hitler, l’Italia abbandonerà l’Austria. Qualche mese più tardi Freud vede con i suoi occhi quanto sono forti, ormai, i nazisti tedeschi: la casa dell’arcivescovo di Salisburgo viene assalita, e il prelato messo agli arresti domiciliari dai nazisti austriaci.
Intanto il cardinale di Vienna, Theodor Innitzer, avversario del nazismo, prima cede davanti al suo dilagare vittorioso, o per paura, oppure sperando di poter venire a compromessi, poi, covocato urgentemente a Roma, dopo il duro richiamo da parte del papa Pio XI e del cardinal Eugenio Pacelli (futuro Pio XII), torna sui suoi passi.
Il gerarca nazista Joseph Goebbels annota nel suo diario, il 7 aprile 1938: “Innitzer è a Roma dal papa… Questa è Roma: una internazionale che deve essere annientata”.
Alcuni mesi dopo, il 18 luglio 1938: “Il papa prende ufficialmente posizione contro il manifesto fascista sulla razza. Straordinario. Così adesso l’Italia sarà al nostro fianco in questo campo. Ma quanto sono sfacciati questi preti!”. Il 31 luglio: “Il papa ha pronunciato un discorso durissimo contro il razzismo, pieno di ingiurie contro il fascismo e di affronti al popolo tedesco e italiano… Seguono dissertazioni scientifiche totalmente idiote e retrive. Con questo tipo di mentalità non si può più neppure discutere”.
Il 10 ottobre Goebbels si riferisce ai fatti d’Austria: “Innitzer ha tenuto una predica alquanto insolente. Al che il popolo ha dato l’assalto al suo palazzo, demolendo i parapetti di ferro”.
Cosa è successo? Il 6 ottobre 1938 Innitzer, in cattedrale, ha chiamato a raccolta i cattolici contro il nazionalsocialismo. All’uscita dalla messa i gruppi nazisti inferociti hanno cominciato ad urlare: “La nostra fede è la Germania”; “Abbasso Innitzer”; “Ammazzate Innitzer!” e reclamato a gran voce il campo di concentramento per il cardinale.
La residenza del cardinale, alla sera, è stata circondata, le finestre divelte, la porta abbattuta, l’atrio e la cappella distrutti… Il cardinale, malmenato, ha rischiato la morte. La polizia è arrivata quaranta minuti dopo, quando i paramenti del cardinale sono già stati bruciati pubblicamente in piazza. Sulla stampa viennese non è comparsa una riga, ed anzi, il cardinale di Vienna è stato accusato di essere un “provocatore”7.
Gli Ebrei (e i cattolici “ferventi”, così Hitler) sono destinati alla persecuzione.
Ma la Chiesa farà spesso il possibile per nasconderli, come testimonia un altro illustre ebreo, il filosofo Emmanuel Lévinas (1906-1995)8.
da: F.Agnoli, Filosofia, religione e politica in Albert Einstein, ESD, Bologna, 2015.
1 R. Calimani, Destini e avventure dell’intellettuale ebreo, cit., p. 190.
2 Sigmund Freud, L’uomo Mosè e il monoteismo. Terzo saggio, in Opere, vol. IX, Bollati Boringhieri, Torino, 1979, p. 413.
3 Roberto Zapperi, Freud e Mussolini. La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista: La psicoanalisi in Italia durante il regime fascista, Franco Angeli, Milano, 2013, p. 69; R. Calimani, Destini e avventure dell’intellettuale ebreo, cit., p. 185-186.
4 Einstein e Freud si conoscono, si “annusano”, ma alla fine non si piacciono troppo. Ricorda A. Pais: nel 1928 Einstein “declinò per due volte l’invito a porre la sua firma su un documento che proponeva Freud per un premio Nobel per la fisiologia e la medicina”; lo elogiava, ma credeva avesse “una esagerata fiducia nelle sue idee” (A. Pais, cit., p. 177-178).
5 Zapperi, cit., p. 129.
6 Burleigh, cit., p. 249.
7 Joseph Goebbels, Diario 1938, Mondadori, Milano, 1993, p. 237, 252, 361 e nota 373 a p. 431; Paolo Valvo, Hilter, il nunzio e il cardinale, in Nuova Storia Contemporanea, n.6, 2012; Leon Goldensohn, I taccuini di Norimberga. Uno psichiatra militare incontra imputati e testimoni, Il Saggiatore, 2008, p. 300.
8 Ha scritto E. Levinas: “Da bambino vivevo in un paese in cui non c’era alcun contatto sociale tra ebrei e cristiani. Sono nato in Lituania, un bel paese con belle foreste e brave persone molto cattoliche, ma dove non ci si frequentava tra ebrei e cristiani se non per motivi puramente economici. Più tardi lessi il Vangelo…Seconda cosa, molto importante: è in questo tempo (del nazismo, ndr) che mi si mostrò chiaramente ciò che voi chiamate carità e misericordia. Ovunque appariva una tonaca nera c’era rifugio… Relazione autentica, concretezza dell’anima, personificazione della relazione. Ecco ciò che ho visto nella Chiesa. Che prossimità! Tale prossimità resta in me. Penso anche di essere debitore verso tale carità. Devo la vita della mia piccola famiglia a un monastero in cui mia moglie e mia figlia furono salvate. Sua madre era stata deportata, ma mia moglie e mia figlia trovarono rifugio e protezione presso le suore di San Vincenzo de’ Paoli. Quanto devo loro oltrepassa la gratitudine e la riconoscenza va molto più lontano. La cosa più importante, in quel periodo, era la possibilità di parlare con qualcuno….” (Emmanuel Lèvinas, Judaisme et christianisme, in Zeitgewinn, Joseph Knecht Verlag, 1987. Ripreso in E. Lèvinas, À l’Heure des Nations, Paris, Ed.de Minuit, 1988; E. Lévinas, Nell’ora delle nazioni, Jaka Book, 1988; Avvenire, 10/8/2000).